Articolo pubblicato il 27 Novembre 2018.
L'articolo "La perdita del nostro migliore amico: un sostegno al lutto" tratta di: Lutto.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Valeria Borghi.
Quando io e Ada ci siamo incontrate per la prima volta lei aveva espresso il bisogno di farsi aiutare ad affrontare il dolore per la perdita del suo amato cane, Dog.
Ada viveva sola, senza una rete di supporto familiare e non aveva nessuno con cui condividere i propri sentimenti di perdita, Dog era quindi la fonte principale di affetto, conforto, amicizia e compagnia.
Non aveva perso solo un animale, ma una fonte di amore incondizionato, di divertimento, di allegria e una parte importante della sua stessa esistenza. Questa amata creatura, che con la sua presenza, la tenerezza, la simpatia, bellezza ed armonia, le aveva dato stabilità, affetto, calore e gioia, non c'era più.
Ora si sentiva particolarmente vulnerabile, confusa, provava vergogna per l'intensità delle emozioni che affioravano e non sapeva guardare in prospettiva cosa era meglio per lei.
L'incapacità di esprimere autenticamente commozione e turbamento, alimentavano la necessità di occultare continuamente quell'evento doloroso. Sapeva - e su questo era determinata – di non volere un altro animale, almeno non subito.
"Forse un giorno ne prenderò un altro" diceva. "Forse…".
Per questo è stato fondamentale affrontare insieme il processo del lutto, ovvero incontrarci per fare i conti con i ritorni a casa, il vuoto, l'assenza dell'amico fedele, il dolore dell'impermanenza legata agli esseri viventi, parlare dell'esperienza del limite della vita, la paura della sua stessa morte, fino a quando il dolore a poco a poco è svanito, lasciando spazio a ricordi affettuosi.
Ada e Dog convivevano da 15 anni e la loro storia era costellata di tanti episodi, alcuni spensierati, altri emotivamente intensi. La paziente soffriva veramente tanto e mentre rievocava i ricordi, piangeva e si sentiva in colpa, come fosse lei la responsabile della dipartita del cane. Diceva: "Se solo fossi stata più attenta forse avrei potuto salvarlo".
La sua rabbia per la perdita era evidente e non si dava pace, pensava in continuazione all'animale morto, sperava di vederlo, sentirlo, come se fosse ancora presente.
Da quando il suo amico l'aveva lasciata si era trascurata, a fatica si faceva da mangiare e dormiva poche ore per notte, restava sveglia, incapace di pensare alle esperienze positive fatte insieme.
Si sentiva sola, triste, impaurita, soggetta ad attacchi di panico e a tratti depressa. Tutto questo aveva un impatto negativo sulla quotidianità, era come se la vita si fosse bloccata, non avesse più un valore, un significato e uno scopo per lei.
I nostri incontri si susseguirono e Ada a poco a poco riusciva a considerare i sentimenti provati legittimi e meritevoli di sostegno, senza sentirsi imbarazzata o inadeguata.
Imparò ad esprimere le emozioni in modo sempre più libero, consapevole che quelle che stava provando erano sensazioni forti, violente, autentiche in relazione ad una perdita così importante. Molte volte durante le sedute Ada si è rivolta al suo fedele amico, gli ha "parlato" come se fosse lì con noi in studio e questo le ha permesso di sentirlo ancora molto vicino, esprimergli tutto l'amore che aveva provato e che ancora provava per lui fino ad elaborare la rabbia della perdita.
Parlare di come si sentiva ha permesso ad Ada di rendersi conto che è importante potersi appoggiare ad una persona (familiare, amico, professionista della relazione d'aiuto ecc.) che ci capisca e che ci ascolti senza giudicarci. È stato possibile ritornare a narrare e condividere le belle giornate trascorse insieme a Dog mentre ancora cucciolo correva in riva al Lago di Garda, oppure rivivere i viaggi in macchina con gli amici dove Dog si faceva coccolare da tutti e con i suoi grandi occhioni "strappava" biscottini ai presenti.
Ricordare la lunga convivenza fatta di un legame molto profondo, a tutti gli effetti un legame d'amore piena di scambi affettivi reciproci, ha fatto emergere nel tempo un senso di leggerezza in questa profonda ferita. Più Ada riusciva ad esprimere e a condividere il dolore, più le sembrava di poterlo sopportare.
Un piccolo, sottile cambiamento nel percepire se stessa e il valore della propria esperienza in positivo ha prodotto dei ribaltamenti imprevisti in Ada, che ha ripreso in mano la propria vita a partire dal concedersi di riporre in garage gli oggetti che appartenevano a Dog, tenendo solamente con sé un piccolo ricordo che la faceva sorridere quando pensava ai bei momenti trascorsi assieme e dedicando alcune ore della settimana al volontariato in canile e a prendersi cura di sé.
Quando il pianto ha lasciato il posto ai ricordi, Ada ha iniziato a provare un moto di serenità davanti alle foto che le rimandavano un pezzo della vita insieme al suo caro amico. È nel cuore che Ada ha riposto Dog ed è là che lo contatta ogni volta che ne sente il bisogno.
"Quando si riconosce che le vicende della propria vita sono interessanti e appassionanti come quelle narrate nei romanzi, allora esiste un forte potenziale di guarigione" (E. Polster, Ogni vita merita un romanzo. Quando raccontarsi è terapia, Astrolabio ed. 1988).
Va da sé che il percorso psicologico del lutto, il qui e ora della terapia diventano il luogo e il tempo all'interno dei quali iniziare a vivere esperienze nuove, nuovi modi di sentire versioni diverse della propria esistenza e dove il dolore, per dirla con una metafora, "si può trasformare da ghiaccio in acqua attraverso un processo lento di scongelamento". Così la persona può, a poco a poco e attraverso un processo di elaborazione, ritornare in un flusso, un circolo virtuoso che la rende capace di costruire il proprio futuro orientando le nuove scelte alla ricerca di una migliore qualità di vita.
PS: I nomi dei personaggi del racconto sono di fantasia.