Articolo pubblicato il 1 Ottobre 2018.
L'articolo "Anoressia e bulimia celate nella quotidianità" tratta di: Disturbi Alimentari, Anoressia e Bulimia.
È ormai assodato come il benessere psicologico di ogni persona rivesta un ruolo fondamentale per potersi dire e sentire in grado di affrontare la vita quotidiana con tutte le sfide che ci riserva e di gestire i cambiamenti cui nel tempo andiamo incontro. La scienza ormai ci ha insegnato come le cellule del nostro corpo reagiscono a ciò che comunica la mente. Il lavoro psicologico accoglie, pertanto, qualsiasi domanda che origini nella dimensione intrapsichica, generalmente scatenata da momenti stressanti o dolorosi, difficoltà relazionali, sino alla comparsa di vere e proprie psicopatologie (ansia, depressione, affettività dipendente).
Un ambito nel quale sono i comportamenti i primi segnali sospetti da sottoporre all'osservazione è quello legato all'alimentazione.
La primissima esperienza che facciamo da piccoli legata alla nutrizione e alla relazione è l'allattamento e può capitare che diventi esso stesso un momento carico di incertezze o emozioni disturbanti perché, va detto, fare la mamma non è facile e non è immediato.
Bion ha descritto il processo secondo cui la madre contiene mentalmente e fisicamente le angosce, le sensazioni e le emozioni che il bambino non è ancora in grado di metabolizzare. La futura capacità del bambino di contenere, trasformare e metabolizzare autonomamente gli elementi psichici dipenderà dalla qualità della sua relazione con la madre e dalla capacità di sintonia, amore e attenzione della diade: "Non è possibile intrattenere un rapporto diretto con noi stessi senza l'intervento di una sorta di levatrice mentale e fisica. A quanto sembra c'è bisogno di rimbalzare contro un'altra persona, di avere qualcuno che rifletta ciò che esprimiamo, perché possa diventare comprensibile" (Bion, 1987).
Nell'arco delle prime esperienze sensoriali e fisiche del neonato il rischio è altresì che si confondano le percezioni emotive con quelle fisiologiche, se la madre risponde a ogni sofferenza con la proposta del seno, ovvero se ad un pianto per esempio per bisogno di contatto si fa fronte sedando una presunta sensazione di fame. Succede allora che, involontariamente, la distorsione dello stimolo della fame inizi ad instaurarsi rapidamente e prematuramente.
Lavorare su queste possibili difficoltà iniziali si costituisce come il primo importante passo per prevenire difficoltà future e la tendenza a spostare i vissuti emotivi sul versante alimentare, che generalmente tende a riproporsi in epoca adolescenziale.
L'adolescenza è notoriamente l'età della crisi imposta dal bisogno evolutivo di differenziarsi dal modello familiare d'origine e dalla conseguente fragilità o instabilità identitaria che durante questi anni di smottamenti ne deriva. Nella ricerca della propria dimensione sia interiore che esteriore, l'adolescente è alle prese con la ridefinizione del proprio Sé psicologico ma anche del proprio corpo e del sentimento soggettivamente associato ad esso.
La percezione del corpo si struttura a partire dalle esperienze prestazionali e relazionali di questo periodo di vita, ma il corpo è anche, a sua volta, teatro dei conflitti e delle incertezze psicologiche dei giovani, che col corpo esperiscono e si raccontano. Il bisogno di controllare ciò che comincia a farsi complesso e a sfuggire di mano (gli altri, gli impegni) per cercare nuove stabilità rispetto ai cambiamenti molteplici che si esperiscono, si traduce con atteggiamenti di controllo estremo e a volte ossessivo sull'alimentazione e sulla forma corpo, come il controllo ripetuto del peso, fissazioni sulla forma di parti del proprio corpo o atteggiamenti di selettività marcata al momento dei pasti.
La tendenza ad affrontare difficoltà emotive irrigidendo o estremizzando i comportamenti associati all'alimentazione, se non adeguatamente compresa e corretta nelle sue prime apparizioni, rischierà di diventare la strategia prevalente cui ricorrere nei momenti di criticità lungo l'arco della vita. Avviene cioè spesso che difficoltà o variazioni nel nostro regime alimentare abitudinario sottendano difficoltà più complesse e non sempre siamo coscientemente in grado di ricollegare queste situazioni con le cause psicologiche che le sostengono.
Il rischio maggiore è che si cronicizzino tali e quali a come le sperimentiamo, permettendo al "sistema persona" di continuare a operare secondo i propri schemi, più profondamente sabotandolo in termini di salute, ma apparentemente sostenendolo in termini di equilibri, precari e a breve termine. È questo il caso di quelle situazioni subcliniche, meno visibili agli occhi e più ingannevoli (episodi di abbuffate, binge eating disorder), che nel tempo ci trascinano lentamente verso condizioni più clinicamente marcate e difficili da arrestare (anoressia nervosa, bulimia nervosa, obesità patologica).
Il principio di prestazione oggi imposto alla femminilità dalla sollecitazione sempre più precoce e pressante a incarnare tutti i ruoli possibili, sociali e affettivi, induce le giovani donne a fare sempre meglio e di più, in un'affannosa ma perennemente insoddisfatta ricerca di competenze multitasking che alimenta un rigido perfezionismo di marca anoressica e soffoca l'espressione dei progetti identitari più autentici.
Il mito della perfezione ispira i comportamenti di queste giovani donne brave in tutto sin dall'infanzia, bambine eccellenti a scuola e negli sport, disponibili in famiglia e disposte a ridursi pelle e ossa per la missione di eccellere. L'attenzione ossessiva all'esperienza corporea di queste persone può essere vista come l'espressione di un più grave disturbo del sé corporeo e psicologico, che può esprimersi in sintomi come la depersonalizzazione, l'ipocondria, le allucinazioni somatiche e la dissociazione psicosomatica (Ciocca 1997).
L'anoressia nervosa si caratterizza per una ricerca ossessiva della magrezza, con forte timore di ingrassare anche quando si è sottopeso. Nel tempo porta anche ad alterazioni nel modo in cui la persona percepisce il proprio corpo: il peso influenza in modo massiccio l'autostima e l'umore e spesso vi è il rifiuto di ammettere la gravità della situazione; nelle donne si accompagna ad amenorrea.
La bulimia nervosa si caratterizza invece per ricorrenti e frequenti abbuffate in cui la persona mangia quantità di cibo significativamente maggiori rispetto a quanto sarebbe normale attendersi; queste abbuffate si associano ad un senso di perdita di controllo (non si riesce a smettere di mangiare) e successivo senso di colpa per quanto fatto. Seguono ricorrenti ed inappropriate condotte compensatorie per evitare l'aumento ponderale e l'autostima è indebitamente influenzata dal peso. L'intolleranza del limite accomuna situazioni di anoressia e bulimia, le prime severe ed incessanti nell'attacco alle imperfezioni del corpo e della mente, le seconde mai sazie di cibo, esperienze, conferme, perennemente affamate d'amore.
In tutti i casi menzionati si riscontra nella persona una tendenza affettiva stabile - seppur dolorosa - che ne condiziona il percorso evolutivo, e questo avviene sia in strutture più definite come gli adulti che in strutture ancora in fase di definizione, gli adolescenti, di ambo i sessi. In entrambe i casi, il momento del pasto si carica di tensioni ed emozioni dolorose, il cibo diviene il principio organizzatore dell'attività mentale e della scansione temporale delle giornate.
L'incapacità di "pensare pensieri" - ssia di elaborare le emozioni - e il bisogno di espellerle o fuggirle, sono caratteristiche frequenti nelle persone che soffrono di disturbi alimentari di vario tipo e gravità che in maggiore o minor misura mostrano tratti alessitimici.
L'alessitimia o analfabetismo emotivo è quella condizione clinica per la quale la persona soffre per una profonda e radicata difficoltà nel contattare le proprie emozioni, nel riconoscerle a livello intrapsichico e metterle in parole. La persona alessitimica appare fredda, ma la sua verità non è il disinteresse per l'altro o la relazione, quanto la difficoltà ad accedere al livello relazionale per un "blocco" che vive internamente alla dimensione del Sé.
La Psicoterapia si inserisce nel bisogno primario della persona di imparare ad ascoltarsi innanzitutto, e poi a decifrarsi attraverso una mente disponibile all'ascolto e a riprendere la funzione materna del contenimento e della sintonizzazione. La presa in carico di situazioni critiche dal punto di vista alimentare e psicologico procede in un assetto volto a descrivere e chiarire l'origine storico-affettiva del disturbo ed il significato inconscio del suo risvolto comportamentale quotidiano, offrendo così al paziente la possibilità di riappropriarsi in piena consapevolezza della sua storia e delle sue emozioni.
Le suddette motivazioni spiegano perché diventa importante ed efficace il lavoro psicologico in ottica sia preventiva che terapeutica nelle situazioni di difficoltà alimentari, sia con adulti che con soggetti più giovani.
Naturalmente non tutti i casi che arrivano in consultazione sono di eguale gravità. Può trattarsi in effetti di un disturbo transitorio, ma anche in quel caso ciò che emerge è l'incapacità di elaborare efficacemente un trauma, un lutto, o semplicemente una fase difficile del percorso adolescenziale, incapacità legata a una sorta di disorientamento, a una perdita di coordinate fisiche, mentali e relazionali, a sentimenti di futilità e disorientamento affettivo, a una mancanza di spazio interiore. La ricerca e le neuroscienze (università di Konstanz, Germania) dimostrano che lo stress derivante da traumi ambientali o relazionali può determinare danni a livello genico e che tali danni possono essere curati con la psicoterapia attraverso la rielaborazione delle memorie e l'avvio di un'esperienza relazionale correttiva.
Con persone che invece riferiscono situazioni già conclamate, il lavoro psicoterapico diventa necessario e ha maggiori possibilità di rivelarsi efficace se condiviso in un'equipe multidisciplinare (nutrizionista, endocrinologo, psichiatra).
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