Articolo pubblicato il 2 Marzo 2017.
L'articolo "Disagio sul lavoro: dov'è il problema?" tratta di: Burnout e Mobbing.
Ho deciso di scrivere questo articolo all'uscita da un colloquio con l'ennesimo paziente giunto in studio spaventato e confuso: l'ultimo episodio di scontro sul lavoro ha stimolato una reazione molto forte in lui che lo ha provato parecchio. Si tratta di un giovane 30enne, che giunge nel mio studio in preda a un attacco di ansia che contiene a fatica, è disorientato e spaventato da quello che gli sta accadendo. La sua azienda è stata acquisita da una più grande, i dipendenti sono stati uniti ad altri provenienti dall'azienda nuova, sono stati cambiati alcuni ruoli, inserendo un elemento di divergenza e conflitto tra pari; sono stati messi, inoltre, dei vigilanti a controllo dell'operato dei lavoratori. Il futuro prevede una chiusura dell'azienda e il ricollocamento di alcuni; per tutti gli altri il destino è il licenziamento.
Quest'uomo si è allontanato talmente tanto da sé e da quello che sente che non confida più nella sua salute mentale. Mi scopro a notare in lui un bell'uomo, giovane, entusiasta della vita e con grandi risorse personali, resosi autonomo dalla famiglia di origine presto e già con una famiglia sua. Ammiro in lui la positività e la capacità di reagire davanti alla situazione, che è effettivamente più grande di lui: non si spegne nell'impotenza, ma si attiva, cercando soluzioni alla sua portata, che però lo portano verso un comportamento progressivamente disorganizzato. Osservo, infatti, che è in preda al panico per questo grosso cambiamento, che gli ha già modificato la quotidianità.
Un disagio esteso, quello lavorativo, tristemente in ascesa in questi anni. Prima colpiva prevalentemente le donne, i lavoratori stranieri e i più anziani, ma la situazione generale del mercato del lavoro ha poi messo in scacco anche le categorie tradizionalmente sicure ed intoccabili.
Già intorno ai primi anni del 2000 professionisti della salute1 e del lavoro2, allarmati dal rapido declino della salute delle persone che seguivano, ne inviavano ampi gruppi a noi Psicologi. In risposta a questo fenomeno è stato aperto un servizio dedicato a questo specifico problema3 presso l'Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli di Milano.
La prima considerazione importante che noi Psicologi abbiamo fatto4 è stata che questo veloce peggioramento dello stato di salute del lavoratore non era attribuibile all'espressione di una sua psicopatologia personale, quanto piuttosto alla conseguenza di cambiamenti disfunzionali nel sistema di relazioni sul lavoro.
Questo non vale solo per situazioni di mobbing5, di cui è responsabile l'azienda, o per situazioni di fragilità psichica pregressa, la cui origine risiede nella storia personale del lavoratore. Di gran lunga più frequenti (più della metà dei casi visionati) erano le situazioni di disagio lavorativo, più sfumate e legate a un contesto relazionale avverso sul luogo di lavoro, che si trasformava in vero e proprio focolaio di malessere e di manifestazioni psicopatologiche anche serie.
La prima reazione delle persone in genere è quella di autoattribuirsi la responsabilità del malessere, senza alcuna consapevolezza del focus relazionale proprio delle varie forme di disagio lavorativo, quali stress occupazionale, demansionamento, dequalificazione, workaholism6, whistleblowling7, stalking, straining8, mobbing, burn-out9 e molestie sessuali.
Il ruolo dell'azienda, invece, è significativo, in quanto disagi legati alla storia personale, e compensati in passato grazie alla personale resilienza10, non trovano scampo in luoghi di lavoro ostili e cronicamente stressanti. Sebbene talune forme psicopatologiche siano più funzionali che disfunzionali ad alcune mansioni lavorative, il ruolo delle relazioni interpersonali gioca un ruolo di rilievo. Vediamo come.
Tre punti accomunano le persone soggette a disagio lavorativo e su cui il lavoro psicoterapeutico cerca di focalizzarsi:
II sintomi lamentati sono molti e vari. Predominano gli aspetti depressivi (insicurezza, apatia, mancanza di concentrazione); i disturbi del sonno (insonnia, risveglio precoce, sonno interrotto) e l'ansia generalizzata (agitazione, tensione, dispnea)11.
Talvolta le manifestazioni più gravi, presenti nella storia medica pregressa, avevano trovato nei numerosi anni di impegno nel mondo lavorativo la possibilità di riscatto e compensazione.
Ciò che prima era fonte di sollievo e riscatto ora diventa fonte di malattia e disagio, nonostante esistano leggi che ribadiscono che il luogo di lavoro non può peggiorare lo stato di salute delle persone (Lgs 81 del 2008).
Sempre più spesso, invece, osserviamo fenomeni di scompenso, di slatentizzazione di comportamenti abnormi, riconducibili a una mutata condizione lavorativa, a rapporti conflittuali con colleghi e/o superiori, influenzati dalle cattive condizioni socio-economiche del nostro paese.
Il luogo di lavoro è un contesto sociale e, in quanto tale, la società è chiamata a tutelarlo. Dovrebbe altresì elevare, non affossare, la qualità della vita di chi ad essa appartiene. La stessa Costituzione della Repubblica Italiana identifica il lavoro come perno della società e ne garantisce più estesamente la tutela in virtù del suo ruolo importante per il progresso sociale (art. 1, 3, 4).
Il lavoro è da ritenersi, insieme a scuola e famiglia, un istituto cruciale per la salute della persona. Molti lo elevano a scopo della loro vita, altri lo vedono come luogo in cui riprendere fiato quando le difficoltà della vita privata sembrano schiacciarli, altri ancora lo vedono come luogo di riscatto sociale. Si pensi anche semplicemente ai programmi di reinserimento sociale per ex-detenuti o di inserimento lavorativo per disabili.
La valenza di questa istituzione è davvero estesa e abbraccia molte sfere della vita di un uomo. Per la nostra cultura è di certo un elemento costitutivo dell'identità della persona, per questo i problemi legati al disagio lavorativo hanno un impatto tanto destabilizzante su chi li vive e segnano così profondamente anche le relazioni che viviamo.
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