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Articolo di psicologia: «Depressione: che cos'è, cura, lutto e Jung»

Depressione e dintorni

Articolo pubblicato il 18 Gennaio 2016.
L'articolo "Depressione e dintorni" tratta di: Depressione.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Giuseppina Cantarelli.

Carl Gustav Jung diceva che la depressione è una signora in nero e, quando appare, non bisogna scacciarla ma invitarla alla nostra tavola per ascoltare cosa dice.
Mi pare che questa immagine racchiuda in sé con grande efficacia allegorica il significato complessivo della sofferenza depressiva, nonché il necessario approccio ad essa, che il famoso Psicologo analista zurighese riteneva indispensabile al fine di avvicinare e comprendere il problema.

Ma in cosa consiste la depressione?

Il termine depressione deriva dal latino "de-premo", il cui significato è "spingere giù", ed è proprio così, in quanto essenzialmente si tratta di un disturbo che comporta una flessione del tono dell'umore verso il basso, ossia di una caduta in luoghi più o meno profondi e oscuri, delle emozioni e dei sentimenti verso sé e il mondo intorno a sé. Abbassamento del tono umorale, quindi, che può includere svariati altri sintomi correlati, dalla incapacità di provare una adeguata risonanza affettiva fino a vissuti di dolore morale, disperazione, senso di inutilità, a volte di indegnità e di colpa, apatia, abulia e un senso d'oppressione che può far apparire insormontabili anche i problemi più semplici.

A ciò si aggiungono spesso disturbi del sonno, dell'alimentazione e, non di rado, sindromi depressive e ansiose vanno a braccetto, così non è raro osservare persone che, oltre che con l'"umor nero", devono combattere con paure relative alla salute che sentono minacciata al minimo sentore di disagio fisico nell'ipocondria o con attacchi d'ansia e di panico e spesso è possibile riscontrare anche nella genesi dei disturbi dell'alimentazione quali l'anoressia e la bulimia una strisciante forma depressiva, che può essere stata incubata e passata inosservata negli anni dell'infanzia e della preadolescenza e, in seguito, dirottata in età adolescenziale e adulta nell'ambito del disturbo alimentare, complici le mode che impongono standard di magrezza spesso irraggiungibili e il profondo senso di disistima che accompagna il soggetto depresso.

I manuali psichiatrici indicano alcune sostanziali forme di depressione: la depressione maggiore o unipolare, contraddistinta da una grave modificazione dell'umore rispetto al livello di benessere precedente, accompagnata da profondi sentimenti di auto svalutazione, di perdita di interesse e piacere, tali da compromettere la possibilità del funzionamento sociale, lavorativo, o di altre aree importanti; la depressione bipolare, che vede l'alternarsi di periodi di profondo abbattimento a periodi di iperattività maniacale accompagnati da autostima ipertrofica e da una eccessiva distraibilità e fuga delle idee, durante i quali il soggetto si mostra eccessivamente espansivo e socievole e, la distimia, che si contraddistingue per uno stato cronico di abbattimento psichico (almeno da due anni) e rappresenta una delle forme depressive più insidiose e gravi.

Una particolare modalità depressiva può manifestarsi nelle neo-mamme a partire dalla sesta/ottava settimana dopo il parto: si tratta della depressione post-parto e le statistiche indicano che il 10-20% delle donne ne può cadere vittima.
Questa sindrome non è da confondersi con quella malinconia, per lo più passeggera, che moltissime puerpere (il 50-80/%) provano nei giorni immediatamente successivi al parto, dovuta a profonde modificazioni ormonali e definita maternity blues o baby blues, che trova in genere risoluzione naturale in tempi brevi.

La tipologia depressiva può, inoltre, essere determinata da vari fattori causali, quindi, lo Psicoterapeuta si può trovare a contatto con soggetti portatori di depressioni reattive, cioè scatenate da eventi di particolare intensità negativa passati o recenti, con persone che, al contrario, paiono avere convissuto da sempre e senza apparenti motivazioni con uno stato cronicamente malinconico e tendenzialmente abbattuto nelle cosiddette depressioni endogene, o con soggetti il cui stato depressivo si può accompagnare a idee deliranti nelle depressioni psicotiche.
Capita a volte che semplici forme di tristezza, noia o apatia passeggere possano essere confuse con episodi depressivi, che presentano ben più gravi sintomi. È importante in questi casi prendere contatto con uno specialista, per dirimere ogni dubbio in merito, al fine di evitare inutili preoccupazioni.

Esiste una cura per la depressione?

Si può affermare che esistono diversi approcci di cura e di interpretazione del dolore psichico che sono tra loro diversi e che in alcuni casi possono integrarsi, ma che sostanzialmente partono da presupposti teorici difformi, così come differente sarà la metodologia d'intervento che ad essi seguirà.

Psicoterapia e Depressione.
Gli approcci psicoterapici alla sofferenza psichica sono andati negli ultimi decenni moltiplicandosi, ma continuano essenzialmente a suddividersi in due filoni o branche principali.

Gli approcci che valorizzano e danno grande importanza alla coscienza come sede di acquisizione di schemi mentali, di idee, di giudizi o pregiudizi più o meno funzionali o disfunzionali rispetto alla possibilità di vivere con pienezza e soddisfazione la vita e in particolare, alla base della depressione, sarebbero coinvolte idee pessimistiche e limitanti che si suppone possano risentire di un miglioramento sostanziale, attraverso una terapia psicologica mirante a rieducare ad una visione meno catastrofica e negativa di sé e del proprio mondo interiore.

Lo scopo di questi interventi è quello di riportare nel soggetto serenità e maggiore ottimismo e/o ripristinare relazioni positive in ambito famigliare. Si interviene, quindi, sulla progressiva modificazione del sintomo, cercando di diminuirne la portata e, se possibile, eliminarlo, attraverso una serie di esercizi o coinvolgendo i famigliari per comprendere e modificare le dinamiche gruppali che possono avere determinato la sofferenza del soggetto, facendo appello alle risorse dell'Io cosciente del singolo o del sistema famiglia. Si tratta delle Psicoterapie di stampo cognitivo comportamentale.

Agli Psicoterapeuti in questo caso non è richiesta una formazione che contempli una Psicoanalisi personale e didattica, anche se in alcuni casi e senza obbligo, ciò avviene.
Fanno parte di questo indirizzo anche le Psicoterapie brevi, che prevedono un numero limitato di sedute per il raggiungimento dello scopo di cura.

Il secondo filone, quello della Psicologia del profondo, considera ogni benessere o malessere psichico in relazione all'esistenza dell'inconscio e della imprescindibilità di riferirsi ai suoi contenuti e moti, per comprendere l'essere umano in molte sue manifestazioni comportamentali, affettive, emotive.
La causa o le cause del dolore psichico, in questo caso, sono considerate profondamente rimosse, cioè nascoste alla coscienza, e compito della Psicoterapia (che in questo caso non potrà che essere di stampo psicoanalitico) sarà - tra gli altri - quello di fare emergere i significati e i nessi esistenti tra contenuti inconsci e sentimenti, stati d'animo e modi di vita coscienti.

In pratica, secondo la lettura psicoanalitica, il sintomo (sia esso depressivo o ansioso, ossessivo, paranoide, etc.) è considerato come punta emergente rispetto ad una ben più vasta area rappresentata dall'inconscio e dai suoi contenuti. Esso (il sintomo), si reputa essere il portatore di un messaggio che coinvolge l'intera personalità e che si esprime con insistenza, al fine di fare emergere le forze interiori che premono per essere accolte, comprese ed elaborate. In questa visione intervenire direttamente sul disturbo specifico, per quanto in alcuni casi ciò possa risultare più o meno durevolmente efficace, è considerato erroneo per i motivi sopraddetti e, per una peculiare caratteristica del sintomo stesso cioè quella di spostarsi e modificarsi, con la concreta possibilità che esso ricompaia in seguito in configurazioni mutate o simili (l'esperienza clinica ne attesta la frequenza), ad indicare come la causa della sofferenza non sia stata sufficientemente compresa, elaborata e come, quindi, le sue fondamenta non ne siano state scardinate. I sintomi legati all'angoscia e alla insicurezza, infatti, sono diversi e sono anche intercambiabili.

La Psicoterapia ad indirizzo psicoanalitico è sicuramente un approccio che scava più in profondità nella mente del paziente e che utilizza mezzi atti a sondare una parte della psiche non direttamente visibile né alla persona stessa, né inizialmente nemmeno allo Psicoanalista. Ecco perché essa dà ampio spazio a quei metodi che mirano a cogliere i messaggi dell'inconscio, come l'interpretazione dei sogni, l'ascolto delle fantasie, l'attenzione ai messaggi extraverbali siano essi silenzi, titubanze, lapsus, tensioni corporee, postura, espressioni visive, etc. oltreché naturalmente ad un attento riesame del romanzo famigliare e personale.

Attraverso il graduale disvelamento delle motivazioni inconsce che hanno portato alla malattia sarà possibile aiutare la persona a rimodulare e rafforzare le proprie difese intrapsichiche al fine di contribuire a ripristinare l'equilibrio emotivo compromesso.
La Psicoterapia Psicoanalitica in tutte le sue varianti (Psicoanalisi Freudiana, Psicologia Analitica Junghiana, etc.) dà estrema importanza alla costruzione di una relazione di profonda fiducia terapeuta – paziente, condizione imprescindibile al formarsi di quelle componenti che andranno ad alimentare il movimento curativo e trasformativo.

Questi approcci psicoterapeutici non consentono di determinare tempi certi di risoluzione del disagio, poiché sarà la psiche stessa del paziente a stabilirne il corso, perciò la durata del percorso psicoterapeutico-psicoanalitico che si intraprende può diversificarsi in base a molteplici fattori, che l'analista non può decidere, ma di cui potrà solo prendere atto, mano a mano, lungo il procedimento di analisi. Tali premesse comportano da parte del paziente una grande motivazione alla cura, desiderio di introspezione e una altrettanto grande capacità di appassionarsi alla conoscenza di sé.

La formazione dello Psicoterapeuta ad indirizzo psicoanalitico implica sempre l'obbligo di una analisi personale e didattica oltre a specifici studi teorici, poiché giustamente si ritiene che soltanto una approfondita comprensione di sé possa consentire di avvicinare il dolore altrui in modo consapevole, competente e con la giusta dose d'umiltà.

La prima e più importante teoria sulle cause della depressione è stata formulata dal capostipite della Psicoanalisi: Sigmund Freud.
In "Lutto e melanconia"(1917) egli sottolinea la stretta relazione che intercorre tra la depressione (che definisce melanconia) e il lutto, che è di regola la reazione alla perdita di una persona amata o a quella di un'astrazione che ha sostituito la persona amata, come ad esempio il proprio paese, la libertà, un ideale o la fiducia in qualcuno o qualcosa di importante. Sebbene il lutto comporti un profondo stato di sofferenza psichica, non è da considerarsi patologia, ma una reazione assolutamente congrua, adeguata e auspicabile, ciò indicato dal fatto che i sintomi depressivi dopo un certo periodo (Più o meno lunghi a seconda della gravità della perdita), vengono spontaneamente superati.

Il lutto è, per intenderci, rappresentato da quell'insieme di sentimenti ed emozioni che segnano e accompagnano la fine di qualcosa di importante come quando muore qualcuno/a a cui si era legati o si viene abbandonati, ma non solo: molte cose nella vita muoiono per far posto a qualcosa di diverso e nuovo su cui reinvestire emozioni e sentimenti che erano connessi a figure e situazioni del passato.

Per quanto certi mutamenti e passaggi di crescita siano considerati prevedibili e necessari, nondimeno essi hanno a che fare con profonde trasformazioni, che non mancano in molti casi di lasciare segni di sofferenza al loro transitare.
Muore in parte il bambino che cresce per far posto al ragazzo, quindi all'uomo adulto e poi all'anziano.
Muore in parte la bambina per far posto alla adolescente, quindi alla giovane donna e in seguito alla donna adulta, alla madre e alla nonna.
È destinata a morire l'ambizione e l'illusione onnipotente e narcisistica di potere essere il/la più bello/a, il/la più desiderato/a, di potere esercitare un potere illimitato sulle persone e sul mondo e sulle proprie capacità di ottenere tutto ciò che si desidera, eterna giovinezza e salute compresi, desideri che, seppure inconfessati, appaiono più comuni di quanto non si pensi, alimentati da una cultura collettiva che sempre meno accetta l'idea di limite, di fine, di imperfezione, di malattia, di morte.

Una reazione di rabbia, dolore acuto, smarrimento, incapacità temporanea di accettare una perdita o un cambiamento, sia esso di persona, status, forma del corpo, stato di salute, progetto, limite delle proprie capacità e possibilità o di fiducia malamente accordata, fino all'accettazione dell'ineluttabile, sono le fasi auspicabili ancorché penose, che l'uomo attraversa ogni volta che deve separarsi da qualcosa di importante, da cose o persone o idee che egli aveva considerato parte essenziale del proprio vissuto, a cui era affezionato, su cui aveva investito con fiducia, e che avevano rappresentato, quindi, un prolungamento della propria personalità e identità o che avevano contribuito a costituirne le basi.

Vivere la sofferenza della perdita, della crescita e della trasformazione con tutto il carico emotivo che ciò comporta ha, nella maggior parte dei casi, effetto balsamico e profondamente risanatore, comprese lacrime, disperazione e necessità temporanee di isolamento dal contesto sociale. L'accettazione della realtà, avrà in genere la meglio sul desiderio di riportare in vita ciò che non è più e, nel tempo, seppure con grande dispendio di fatica ed energia, sarà possibile ritrovare un nuovo equilibrio e una rinnovata vitalità.

Lutto e depressione.
Cosa diversifica, quindi, il lutto dalla depressione?
Le caratteristiche mentali che contraddistinguono la depressione si avvicinano molto a quelli che si riscontrano nel lutto, ma subiscono una complicazione dovuta alla incapacità patologica di staccarsi dall'oggetto amato conosciuto o sconosciuto che sia.

Quando non è possibile rintracciare nel vissuto del soggetto qualche evento di perdita cosciente, significa che ciò che è andato perduto è sconosciuto anche alla persona stessa o può essere sconosciuto il valore di quella perdita.
Questo fatto sembrerebbe indicare che la depressione sia in qualche modo collegata ad una perdita importante per il soggetto, sottratta alla coscienza; nel lutto, invece, non c'è niente di inconscio relativo alla perdita.

Se nel lutto la perdita d'interesse verso le cose del mondo viene a coincidere con l'esigenza dell'Io di rimanere assorto e distante dal reale, in contemplazione dolorosa del bene perduto, nella depressione la perdita sconosciuta darà luogo ad un simile lavoro interno e sarà perciò responsabile della condizione depressiva.

La differenza consiste nel fatto che i sintomi che si riscontrano nel depresso sembrano incomprensibili, perché non è evidente la causa di tanta sofferenza. Nel depresso si manifesta qualcosa che nel lutto manca: una straordinaria diminuzione dell'auto considerazione, un impoverimento dell'Io su vasta scala.
Nel lutto è il mondo che è diventato povero e vuoto; nella depressione è l'Io stesso. Il paziente ritiene il suo Io indegno, incapace e moralmente spregevole, si rimprovera, si denigra e si aspetta di essere malvisto e punito. Nel depresso, una parte dell'Io diviene soverchiante e attacca l'altra parte, prendendola come suo oggetto.

"Se si ascoltano con pazienza le varie autoaccuse del depresso, si giunge alla conclusione che le autoaccuse più violente sono difficilmente applicabili al paziente stesso ma con qualche lieve modifica, possono adattarsi a qualcun altro, una persona cioè che il paziente ama, o ha amato o che dovrebbe amare. Così scopriamo la chiave del quadro clinico di questa malattia: ci accorgiamo che i rimproveri apparentemente diretti verso il soggetto stesso, sono in realtà rivolti ad un oggetto amato ma che sono deviati sull'Io del paziente"
(Freud, Lutto e melanconia)

La depressione ha origine, quindi, da un senso di perdita rimosso e dalla rabbia rivolta inconsciamente verso se stessi. Per esempio, una persona può attribuirsi la colpa della mancanza di affetto dei genitori nei suoi confronti, ma avere rimosso questa convinzione, per il dolore che genera. Una esperienza di abbandono o di fallimento in età adolescenziale o adulta può riattivare quelle emozioni e determinare uno stato depressivo non giustificato dall'entità del danno subito. Starà al terapeuta guidare il paziente nel far emergere i sentimenti che prova, per quanto dolorosi essi siano, e gradualmente aiutarlo - attraverso una relazione correttiva - a rendersi conto della vera causa del disagio e dell'infondatezza delle sue emozioni.

Che la depressione nasconda fin troppo spesso una problematica legata ad una relazione importante ma disturbata o assente con una figura interna che un tempo fu reale ed indispensabile e che in seguito deluse profondamente, è dimostrato dalle ricerche sui bambini abbandonati in orfanotrofio alla nascita o ospedalizzati nei primi mesi-anni di vita.

Il bambino nasce programmato per entrare in relazione profonda con l'ambiente, in particolare con una figura materna, ed essere accudito con sufficiente amore. Questa è la condizione minima necessaria ad uno sviluppo adeguato sia fisico che psichico. Gli studi empirici approfonditi di Renè Spitz (Psicoanalista, 1887-1974) su queste condizioni di deprivazione hanno dimostrato come l'abbandono o cure inefficaci possano provocare nei bambini piccoli uno stato di profondo abbattimento tale da rallentare lo sviluppo sia fisico che psichico e all'apparire dell'aggressività, istintiva e naturale pulsione legata inizialmente alle necessarie impellenti richieste di accudimento, ad esempio attraverso manifestazioni quali il pianto o l'agitazione corporea, uno spostamento di questa, dalle direzioni sulle quali essa viene normalmente convogliata (la madre, l'ambiente) al proprio Io, essendo l'Io stesso del bambino l'unico oggetto con cui gli rimanga possibile stabilire una relazione.

Esprimendosi l'Io del bambino in età preverbale, soprattutto attraverso il corpo, poiché non ancora presenti in lui le capacità di comunicare le emozioni e i bisogni attraverso un linguaggio verbale articolato, egli tenderà ad aggredire il se stesso corporeo, ad esempio attraverso l'instaurarsi di patologie somatiche, fino a limitare la proprie capacità e le proprie difese e spesso si è evidenziato in questi casi, un così grave abbassamento delle difese immunitarie tale da consentire forme di grave deterioramento delle strutture psico-fisiche. Ecco, quindi, evidenziarsi il modello base dell'instaurarsi della patologia depressiva. Perciò per la Psicoanalisi, la psicogenesi della depressione è da rintracciarsi nelle esperienze infantili di separazione, perdita o inefficacia delle cure ambientali e dall'altra nel rivolgere verso di sé i sentimenti ostili, nel denigrare e attaccare se stessi anziché quella rappresentazione dell'oggetto amato con cui il soggetto era in vario modo identificato, ma che ora ha perduto.

Jung e la Depressione Creativa

Carl Gustav Jung adotta una spiegazione della depressione in chiave riduttiva e una in chiave costruttiva.

Rispetto alla prima, egli segue l'interpretazione freudiana secondo la quale da un lato la psicogenesi della depressione è da rintracciare nelle esperienze infantili di separazione o perdita o inefficacia delle cure ambientali, e dall'altro il soggetto che ne è affetto denigra e attacca se stesso anziché la rappresentazione dell'oggetto amato nel quale si era identificato, ma che ora ha perduto.

Rispetto alla seconda, Jung considera la depressione, come immagine della stasi energetica che si può verificare in alcune fasi del processo di individuazione ( percorso di conoscenza profonda di sé), affinché l'Io possa confrontarsi con ciò che nello stato di abbattimento si custodisce, poiché l'essere depressi può essere inteso come entrare "nel silenzio e nel vuoto che presiedono il processo creativo". Ciò è particolarmente evidente nelle personalità creative per le quali il periodo che precede la produzione di qualche nuova opera d'arte o la scoperta di una idea scientifica originale passa spesso attraverso un periodo di apatia, durante il quale la vita appare priva d'interesse.

Jung rilevò questi sintomi anche in se stesso, ogni qualvolta egli si trovasse nel periodo di incubazione antecedente la concretizzazione di un nuovo pensiero o la produzione di nuove opere e interpretò/comprese come ciò fosse provocato da un accumulo di energia libidica all'interno dell'inconscio, traducendosi nella coscienza in questo sentimento di depressione e vuoto.
Scrive Marie Louise Von Franz, una delle più note allieve e seguaci di Jung: "Ricordo che anch'io una volta mi sentivo disperata. Sognai che stavo guardando in una stazione le manovre per formare i nuovi treni. Ciò indicava con chiarezza, che nell'inconscio la libido si riordinava e strutture istintive ed energetiche stavano riassestandosi. Questi periodi di sterilità apparente mostrano come qualcosa di straordinario sia in gestazione nell'inconscio".

Secondo il sapere degli antichi, il piombo era il metallo del pianeta Saturno e aveva le sue stesse qualità: sul versante negativo egli presiede e determina la patologia depressiva e sul versante positivo, la depressione creativa.

Saturno è il dio degli sciancati, dei mutilati, dei criminali, ma anche degli artisti e degli uomini creativi. Senza avere coscienza di star usando una metafora alchemica, le persone dicono spesso:"oggi mi sento di piombo".
Il sentirsi schiacciato, spinto o trattenuto verso il basso indica che una parte dell'energia psichica è risucchiata verso il basso (effetto tipico della qualità del piombo) e deve quindi essere ripescata. Perciò secondo Jung, a meno che non ci si trovi di fronte ad una psicosi latente, la depressione va ascoltata e vissuta e non soffocata coi farmaci o, allontanata attraverso diversivi di varia natura.

Il senso di questo confronto, di questa discesa al fondo a se stessi, sta nel raggiungere quel livello in cui risiede l'energia psichica. Improvvisamente laggiù può manifestarsi un impulso vitale e creativo che era stato trascurato. La Psicoterapia di stampo Junghiano ha, quindi, il precipuo scopo di accompagnare il paziente in questo percorso di conoscenza e recupero delle proprie parti vitali attraverso la discesa, la conoscenza e l'integrazione della propria oscurità, cammino che richiama il significato allegorico della discesa di Dante e Virgilio negli abissi dell'altrove (che per lo Psicologo-Analista rappresenta sempre l'inconscio), fino a raggiungere la luce di una nuova consapevolezza di sé.

Il ruolo dello psicofarmaco

È indubitabile come lo sviluppo della Psicofarmacologia sia andata in soccorso di svariate patologie psichiche e psichiatriche e di come, soprattutto nei casi più gravi, lo psicofarmaco sia in grado di diminuire l'intensità dei fenomeni sintomatici e di alleviare l'angoscia del paziente. Ovviamente, una volta trovato il rimedio adatto, questo potrà lenire il dolore, ma certamente non eradicarne la causa, così come un antidolorifico potrà far passare un mal di denti dovuto ad un ascesso, ma non certo risolvere il problema che causa il dolore.

Lo psicofarmaco ha la funzione di intervenire sul ripristino del livello quantitativo ottimale di disponibilità dei neurotrasmettitori cerebrali, deputati al mantenimento di un buon tono dell'umore, in abbinamento in molti casi agli ansiolitici che, a loro volta, hanno il compito di coadiuvare l'effetto dei primi in soggetti che presentino stati d'ansia legati al problema depressivo. Gli ansiolitici, peraltro, possono (e sono spesso prescritti) per problematiche legate esclusivamente a semplici forme d'ansia.

La tendenza al consumo degli psicofarmaci è in costante aumento nella nostra società, indicando come ansia e depressione a loro volta siano sindromi in crescita. Se il fenomeno dipendesse esclusivamente da cause neurologiche - ipotesi che fa immaginare il nostro cervello un po' come un computer che a volte si può rompere e deve quindi essere riaggiustato - come molta parte della ricerca medica sostiene, oggi avremmo tra le mani la soluzione di un problema che pare al contrario assumere proporzioni sempre più vaste. L'utilizzo dello psicofarmaco coinvolge ormai anche le fasce d'utenza più giovani fino ad essere prescritto a bambini che presentino stati di particolare tensione, ad esempio nelle sindromi da iperattività e deficit d'attenzione (ADHD).

Senza entrare nel merito degli effetti a lungo termine che l'assunzione protratta di queste sostanze potrebbe produrre, soprattutto su organismi in crescita, non si può non rilevare come la tendenza indiscriminata ad eliminare il sintomo depressivo o ansioso che sia rimandi ad un'idea di estraneità del soggetto dal proprio malessere, che tenderà ad essere liquidato come una mera disfunzione chimica, allontanando così la persona dalla possibilità di assumersi la responsabilità di se stessa nel comprendere i motivi, le cause e il significato della propria sofferenza e di contribuire, quindi, come protagonista indiscusso, al proprio processo di cura e crescita.

Per approfondimenti:
  • D. Alighieri, Divina Commedia
  • J.S.Beck, La terapia Cognitivo Comportamentale
  • DSM- IV-TR (Criteri diagnostici)
  • S. Freud, Lutto e melanconia
  • M.L.v.Franz, Alchimia
  • C.G.Jung, Liber Novus (Libro Rosso)
  • C.G.Jung, Psicologia e Alchimia
  • C.G.Jung, La psicologia del transfert
  • R. A.Spitz, Il primo anno del bambino

Per approfondire

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