Articolo pubblicato il 7 Ottobre 2015.
L'articolo "Il sonno. A cosa serve, perché è così importante per la vita?" tratta di: Disturbi del Sonno.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Stefania Corti.
La coscienza è un processo psicologico fondamentale che accompagna la nostra vita in tutti gli istanti.
È un flusso di consapevolezza degli stimoli esterni e interni al soggetto, in altre parole: l'atto della presenza della mente a se stessa.
La ricerca scientifica ha ormai confermato come la coscienza possa essere rappresentata come un flusso, continuo e mutevole, che si modifica continuamente e che subisce alcune importanti variazioni durante la giornata (Anolli L., Legrenzi P., 2001).
Uno dei casi di maggiore variazione della coscienza è rappresentato dal sonno. Il sonno, infatti, appare come uno stato fisiologico attivo, caratterizzato da bassa reattività agli stimoli provenienti dall'ambiente circostante e da una diminuzione del grado della coscienza, che coinvolge svariati elementi del sistema nervoso centrale.
Come tutti sappiamo, il sonno insorge nell'organismo in modo spontaneo e periodico nel corso della vita dell'individuo, generando un'alternanza tra sonno e veglia che regola il ritmo delle giornate. Dal punto di vista neurologico, il periodico alternarsi di veglia e sonno è controllato da sistemi neuronali che si trovano nel tronco encefalico e nel diencefalo.
Il sonno, inoltre, è un processo reversibile, consentendo alla persona di ritornare allo stato di veglia, e autolimitato nel tempo.
Attraverso esami strumentali come l'EEG (elettroencefalogramma), l'EOG (elettrooculogramma), l'ECG (elettrocardiogramma) e la misurazione dell'attività respiratoria, viene definita la fisiologia del sonno e la sua articolazione nel tempo (polisonnografia). Lo studio delle onde cerebrali raccolte durante la polisonnografia ha dato la possibilità di distinguere sei diversi stati (o livelli) di attività del cervello, due riferibili alla veglia e quattro al sonno.
Il primo livello, detto di veglia attiva, si caratterizza per la presenza di onde beta rapide e irregolari dette desincronizzate.
In questo stadio, la persona si trova in una condizione di completa attenzione e ha gli occhi aperti. I movimenti degli occhi possono essere sia rapidi sia lenti, mentre il tono muscolare risulta medio o alto.
Il secondo stadio della veglia, veglia rilassata (ritmo alfa occipitale), presenta onde sinusoidali più lente e regolari.
Questa condizione si verifica classicamente nel momento in cui la persona si trova in una condizione di rilassatezza, a occhi chiusi.
Nel momento dell'addormentamento, ovvero nella fase detta ipnagogica, si passa da uno stato di veglia rilassata al primo vero livello del sonno.
Primo livello del sonno.
In questo momento l'attività alfa diminuisce e, con essa, anche lo stato di attivazione dell'organismo. Le onde cerebrali, in questa fase, sono definite theta e presentano un'ampiezza ridotta. Gli occhi si muovono in modo lento, rotatorio e oscillatorio. L'attività muscolare è ancora presente, ma appare meno intensa di quella che viene registrata durante il corso della veglia.
Dopo circa 20 minuti, la persona passa al secondo stadio del sonno, dove può essere rilevata la presenza di strutture particolari, dette fusi del sonno e complessi K. I fusi del sonno sono variazioni rapide e irregolari delle onde registrate con l'EEG e hanno come funzione quella di inibire l'elaborazione cerebrale delle informazioni non necessarie.
Si crede che i complessi K, che si mostrano come un'ampia e singola onda negativa e positiva, svolgano due funzioni principali:
In questa fase, gli occhi si muovono lentamente e l'attività motoria diminuisce ulteriormente.
Nelle fasi 3 e 4 si manifesta la presenza delle onde delta, lente e ampie.
In questi livelli del sonno i movimenti oculari sono pressoché assenti, mentre si presentano i complessi K.
Soprattutto quando si trova nello stadio 4, noto come sonno profondo, il soggetto è più difficile da svegliare e, a causa della ridotta attività metabolica del cervello (minor consumo di ossigeno e di zuccheri), se viene riportato alla fase di veglia, può rimanere confuso per alcuni minuti.
È proprio in questa fase che si possono presentare alcuni fenomeni, annoverati fra i Disturbi del Sonno, come: il sonnambulismo, l'enuresi e il terrore notturno.
Una volta raggiunto lo stadio 4, il soggetto torna ciclicamente allo stadio 1.
Durante il sonno, solitamente, sono osservabili circa 4-6 cicli di sonno, della durata media di circa 90 minuti ognuno.
Durante la prima metà degli anni '50, grazie al lavoro di Eugene Aserinsky e Nathaniel Kleitman, fu scoperta la presenza di fasi del sonno caratterizzate da movimenti oculari rapidi (Rapid Eye Movement - REM), accompagnate da altre variazioni fisiologiche come: irregolarità cardiaca, respiratoria e variazioni della pressione arteriosa. Grazie a questa scoperta, è stato possibile distinguere tra fasi del sonno REM e non REM (nREM).
Quando la persona, dallo stadio 4 torna allo stadio 1, compie movimenti rapidi degli occhi in opposizione di fase.
Questa fase del sonno, altrimenti detta sonno paradosso, viene così definita poiché le onde cerebrali che la caratterizzano sono simili a quelle della veglia o della prima fase del sonno (sonno D - sonno Desincronizzato).
Nella fase del sonno nREM, il ritmo del cuore e quello respiratorio sono lenti e regolari, mentre i movimenti degli occhi risultano quasi completamente assenti.
Il tono muscolare è scarso e il metabolismo cerebrale appare diminuito di circa il 30% rispetto allo stato di veglia. Ne consegue che l'attività cerebrale è molto ridotta e il corpo appare completamente rilassato.
Questa fase del sonno viene chiamata sonno ortodosso o sonno S (sonno Sincronizzato) e prevale nelle prime ore dell'addormentamento.
I sogni che si verificano nella fase nREM sono spesso scarsamente emotivi e quasi simili al pensiero razionale e quotidiano.
Durante la fase di sonno REM, la presenza di scariche di movimenti oculari, ogni circa 10/20 secondi, è accompagnata da un aumento progressivo dell'attività cerebrale, sino a divenire pressoché simile a quella della veglia. Come dicevamo, si verifica un aumento della pressione arteriosa, del polso e della respirazione.
Nella fase del sonno REM la muscolatura volontaria viene paralizzata, con lo scopo di difendere l'individuo dai movimenti inconsulti provocati dal sogno, proprio perché è esattamente in questa fase che se ne registra la maggior parte.
Quando si sveglia una persona durante la fase REM del sonno, infatti, questa nel 80% dei casi riferirà che stava sognando.
I sogni della fase REM appaiono vividi, emotivi, bizzarri e illogici.
Durante la fase REM, quindi, si ha un cervello completamente attivo, ma isolato dalle connessioni sensoriali, e un corpo praticamente paralizzato.
Se ci si sveglia in questa fase si è perfettamente orientati nella realtà.
Il sonno REM è più frequente durante l'infanzia, con un picco all'età di un anno, e tende a essere meno frequente con l'avanzare dell'età per lasciare spazio al sonno nREM.
«Ma perché dormiamo?
Perché, a un certo punto della giornata,
più o meno alla stessa ora, provo sonno?».
Ci sarà capitato molto spesso di chiederci perché dormiamo.
Nel corso del tempo, gli scienziati hanno proposto svariate teorie nel tentativo di rispondere a questa semplice, ma vitale, domanda.
La prima teoria proposta per dare spiegazione dell'utilità del sonno, detta teoria ristorativa o teoria del recupero, sostiene che il sonno consenta il recupero delle risorse dell'individuo, sia a livello somatico che cerebrale.
In modo specifico, le fasi di maggior recupero sarebbero quelle del sonno nREM, mentre quelle nelle quali si svolgerebbe un processo di fissazione della memoria sarebbero quelle REM.
Secondo questa teoria, quindi, il sonno avrebbe una funzione di riparazione psicosomatica dei danni subiti durante lo stato di veglia.
La teoria circadiana del sonno, altrimenti detta teoria della conservazione dell'energia, sostiene invece che il sonno sia comparso nel corso dell'evoluzione della specie, con l'obiettivo di mantenere gli animali inattivi durante i momenti in cui non si presenta la necessità di impegnarsi nelle attività di sopravvivenza. È stato osservato, infatti, che durante il sonno si verifica una riduzione dell'attività metabolica generale di circa il 10% e un abbassamento della temperatura corporea.
Animali come i mammiferi necessitano di un'importante riserva energetica al fine di mantenere costante la temperatura corporea.
Così la riduzione di temperatura, che avviene in particolare durante le prime fasi del sonno, darebbe ai soggetti un significativo risparmio energetico. Questo stesso meccanismo si verifica, per altro, durante il letargo. Inoltre non possiamo dimenticare che gli animali, come l'uomo stesso, hanno una maggiore probabilità di sopravvivenza se la notte risparmiano energie, utili ad affrontare i predatori e i pericoli nel giorno successivo.
Questo è evidente notando come il numero di ore di sonno sembri essere connesso al grado di vulnerabilità delle varie specie animali (bradipo: 20 ore; gatto: 14 ore; giaguaro: 10 ore; uomo, coniglio, maiale: 8 ore; mucca, capra, elefante, asino, pecora: 3 ore; daino, cavallo: 2 ore).
Le specie erbivore hanno un periodo di sonno più breve, utile per dedicarsi maggiormente alla ricerca del cibo e alla vigilanza contro i predatori.
I carnivori, grazie alla loro capacità di trovare più velocemente il cibo ed essendo meno esposti al pericolo, possono godere di un maggior numero di ore di sonno.
Seguendo la teoria dell'apprendimento, per contro, sembrerebbe che il sonno, e in particolare quello REM, abbia una funzione fondamentale, legata alla maturazione del Sistema Nervoso Centrale.
Soggetti sottoposti a sessioni intensive di apprendimento, infatti, hanno registrato un aumento importante della fase REM del sonno (Yang G. et al, 2014). Questo sembrerebbe connesso al processo di fissazione nella memoria a lungo termine dei dati appresi. Ne sarebbe conferma la tendenza dei neonati a presentare una più ampia percentuale di sonno REM, se confrontati con adulti e anziani.
In accordo con gli autori della teoria della pulizia del sonno, si ritiene infine che il sonno rappresenti una fase nella quale il cervello innesca un importante meccanismo di autopulizia, che sfrutta il processo di espansione volumetrica dei canali posti tra i neuroni, permettendo un più ampio flusso di liquido cerebrospinale.
Questo processo permette al cervello l'eliminazione dei prodotti metabolici di scarto accumulati durante il giorno, come le proteine extracellulari.
Questi studi, condotti dall'Università di Rochester e dall'Università di Copenaghen (Xie L. et al., 2013), spiegherebbero quindi il senso di stanchezza e spossatezza avvertiti dopo una notte di scarso riposo.
Questo sistema, simile ma differente da quello linfatico che non è presente a livello cerebrale, è stato definito glinfatico. Questo termine è stato creato da Maiken Nedergaard, Neuroscienziata danese, per sottolineare il ruolo delle cellule gliali in questo processo.
Lo studio della Cronobiologia - ovvero la ricerca biologica fondata sui fenomeni ciclici negli organismi viventi e la loro capacità di adattarsi che studia i fenomeni periodici (ciclici) negli organismi viventi e il loro adattamento ai ritmi del sole e della luna - ha permesso la scoperta dei cosiddetti ritmi circadiani.
I ritmi, o cicli, circadiani (tratto dal latino "circa diem" ovvero "intorno al giorno") riguardano quei cicli psicobiologici che si svolgono su una periodicità di circa 24 ore. Essi riguardano il ritmo sonno-veglia, ma non solo.
I ritmi circadiani, infatti, possono essere: il ritmo di secrezione del cortisolo (ormone prodotto dalle ghiandole surrenali), il ritmo di variazione della temperatura corporea e di altri parametri legati al sistema circolatorio.
Esistono, poi, cicli detti infradiani, ovvero con un ciclo superiore alle 28 ore, come il ciclo mestruale; e cicli ultradiani, con una ciclicità che si esprime su meno di 20 ore, come ad esempio il ritmo della fame o la frequenza cardiaca.
I ritmi circadiani mantengono la loro periodicità grazie alla presenza di una sorta di orologio interno regolato da svariati fattori ambientali, tra i quali: la luce solare, la temperatura ambientale e stimoli di natura sociale (ad esempio i turni di lavoro, gli orari dei pasti ecc.).
Gli agenti sincronizzatori ambientali che ogni giorno danno il tempo all'orologio interno sono chiamati Zeitgebers, dal tedesco "donatori di tempo".
La struttura neurologica che controlla i ritmi circadiani dell'organismo è il nucleo soprachiasmatico (SCN), situato nell'ipotalamo.
Il SCN riceve le informazioni dalle cellule gangliari fotosensibili della retina, che contengono un pigmento chiamato melanopsina.
La distruzione del SCN causa un'alterazione completa del normale ritmo sonno-veglia nell'individuo. La condizione del tutto particolare, ricreata in laboratorio, definita condizione di free running è quella condizione nella quale un individuo viene posto in un ambiente del tutto privo di Zeitgebers, ovvero completamente privo di qualsiasi riferimento ambientale.
In questo tipo di stato, si è verificato come sia animali che umani mantengano i propri ritmi circadiani, sebbene tendano naturalmente ad allungarsi sino a raggiungere una durata di circa 25 ore per l'alternanza sonno-veglia (fenomeno della lentezza degli oscillatori biologici).
È curioso notare come - essendo solitamente il ritmo sonno-veglia associato a quello della regolazione della temperatura corporea (all'addormentamento si registra il valore di temperatura minimo, il risveglio coincide con il suo innalzamento) - durante una condizione di free running prolungata per oltre due settimane si verifica il fenomeno della desincronizzazione interna, nel quale i due ritmi diventano indipendenti. Il ciclo di oscillazione della temperatura corporea, infatti, mantiene una durata di circa 24,5 ore, mentre il ciclo sonno-veglia può alterarsi notevolmente.
I cicli circadiani sono anche influenzati da variabili socioculturali.
In questo senso, è classico porre una distinzione tra culture cosiddette lente e veloci. Le culture veloci presentano un elevato grado di industrializzazione, benessere economico, solitamente clima freddo, orientamento all'individualismo e tendenza al successo personale, oltre che un'elevata densità di popolazione.
La popolazione sembrerebbe orientata temporalmente al futuro, con una pianificazione della vita su obiettivi a medio-lungo termine, e governata da vincoli temporali forti. Per questo motivo, alcuni individui potrebbero sperimentare vissuti di ansia e disorientamento sociale, associati a un senso di forte pressione del tempo a disposizione.
Al contrario, una cultura definibile lenta presenta più frequentemente povertà, scarsa industrializzazione, clima caldo, attenzione alla collettività e all'armonia tra individui. Queste culture, solitamente, sono caratterizzate da scarsa densità della popolazione e da una prospettiva di vita focalizzata sul momento presente, con scarsa programmazione degli obiettivi.
Ne consegue che - dato che ogni individuo è portatore di un orologio interno del tutto personale e particolare - il confronto e le interazioni con persone dai ritmi circadiani e psicobiologici notevolmente differenti, anche se appartenenti alla stessa propria cultura, potrebbero generare asincronie e problemi relazionali.