Articolo pubblicato il 16 Febbraio 2015.
L'articolo "Scuola-famiglia-operatori: una difficile convivenza" tratta di: Psicologia Scolastica, Disturbi dell'Infanzia e Educazione dei Figli.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Serena Fiorini.
La scuola, assieme la famiglia, è da sempre considerata contesto fondamentale per la facilitazione e comprensione dello sviluppo del bambino. A partire dall'età scolare il bambino infatti - proprio grazie al contatto con altri adulti significativi, alle relazioni con il gruppo dei pari e all'apprendimento di regole e competenze indispensabili per la sua crescita - sviluppa quelle abilità necessarie per un buon adattamento alla società in cui è inserito.
Non sorprende dunque che sin dagli albori degli studi sulla Pedagogia e la Psicologia infantile si sia privilegiato il sistema scolastico come terreno d'elezione per la ricerca e lo sviluppo di strumenti di indagine delle capacità cognitive e relazionali dei bambini. Si pensi ad esempio al diffusissimo concetto di Quoziente Intellettivo di Alfred Binet, costruito proprio per e partendo dalla valutazione dei bambini in età scolare.
La scuola quindi ha sempre assunto un doppio ruolo nell'accompagnamento e nella crescita dei bambini: da un lato l'apprendimento di nozioni e regole indispensabili per lo sviluppo intellettivo e sociale, dall'altro l'individuazione e la valutazione di eventuali "carenze" in tali apprendimenti, contribuendo a costituire quello che oggi è il bagaglio di informazioni sulla Psicopatologia infantile.
L'insegnante dunque, oggi sempre più consapevole dell'importanza del proprio ruolo nello sviluppo del bambino, si sente "responsabilizzato" nell'avere un occhio di riguardo anche sulle competenze emotivo-relazionali dei suoi giovani allievi, oltre che rispetto al semplice apprendimento nozionistico. Questa responsabilizzazione è ancora più evidente se osserviamo che la maggior parte delle richieste di accesso alla Neuropsichiatria Infantile arrivano proprio per problemi e difficoltà legate all'ambito scolastico (ad esempio per Disturbi dell'Apprendimento o DSA).
La scuola è quindi, senza dubbio, una risorsa indispensabile per la comprensione delle capacità di adattamento del bambino.
In casi ottimali (purtroppo non così frequenti) l'accostamento dei punti di vista di scuola e famiglia permette una rapida e tempestiva messa in opera di interventi utili per cogliere e aiutare un bambino che presenti segni di una qualche difficoltà, cognitiva o relazionale. Ma quante volte capita che insegnanti e genitori mostrino idee molto diverse o addirittura opposte, senza riuscire a trovare un terreno comune per una collaborazione?
La relazione tra genitori-scuola, che fino a quel momento era stata magari ottimale, comincia a incrinarsi; possono arrivare accuse reciproche di incompetenza, sensi di colpa e la percezione di essere svalutati o addirittura esautorati dal proprio ruolo fondamentale rispetto a quel bambino: insegnante/genitore. A complessificare la situazione, l'intervento di un terzo a valutare o a cercare di risolvere quelle difficoltà: l'operatore (qui inteso come Educatore, Neuropsichiatra, Psicologo ecc.).
Se l'intervento di una persona che si presume non giudicante, esterna, potrebbe permettere una mediazione tra scuola e famiglia e un ritorno al dialogo, purtroppo spesso si osserva un incremento delle tensioni e dei conflitti già attivati. Scuola e famiglia si sono spesso sentiti colpevolizzati e inquadrati come "locus di patologia" da parte degli "esperti del settore".
Gli stessi operatori finiscono per ritrovarsi coinvolti in tali conflitti e lotte di potere, che loro stessi hanno contribuito a creare.
Nella ricerca di un vincitore entro questa lotta di "esperti", il bambino è l'unico a non trarre alcun beneficio.
Visto solo come portatore di un disturbo o come vittima di una situazione di conflitto tra gli adulti, gli viene tolta la sua "voce", la sua capacità di spiegarci cosa, con quei comportamenti, attraverso quei segnali che noi "specialisti" chiamiamo "sintomi", ci vuole comunicare.
Come tornare ad ascoltare il bambino?
Come far sì che tutti questi quattro attori coinvolti (bambino-genitore-insegnante-operatore) possano collaborare per il benessere del bambino? Personalmente, credo che una delle possibili risposte a queste domande risieda in un'altra domanda: perché assumere un punto di vista come migliore dell'altro? Perché cercare di far prevalere il proprio punto di vista come principale e vero?
Opinione di chi scrive è che il compito dell'operatore che si trova inserito in una situazione di impasse tra scuola e famiglia sia raccogliere e accettare le idee e le ipotesi dall'una o dall'altra parte e costruire, partendo proprio dall'incontro di visioni diverse o addirittura opposte, un'ipotesi che le com-prenda entrambe.
Perché non esiste un punto di vista più giusto dell'altro.
Ogni individuo comunica con un linguaggio adatto al contesto in cui si trova inserito. Un bambino sa che per ricevere attenzioni a scuola deve comportarsi in un certo modo, mentre a casa le stesse attenzioni possono richiedere comportamenti opposti. Non serve pensare che il maestro è troppo severo, il genitore troppo permissivo, l'operatore troppo cinico.
I bambini sanno apprendere perfettamente quali comportamenti sono più comunicativi in quegli specifici contesti.
Obiettivo di un buon lavoro educativo è quindi quello di creare una collaborazione tra tutti gli attori coinvolti, permettendo l'attuazione di interventi compatibili rispetto a tutti i punti di vista presentati, in modo che tutti si sentano riconosciuti e rispettati nel loro ruolo.
Anche il bambino.