Articolo pubblicato il 31 Marzo 2014.
L'articolo "L'attacco di Panico, ovvero quando Pan reclama attenzione" tratta di: Disturbi d'Ansia e Attacchi di Panico.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Giuseppina Cantarelli.
Il termine Panico deriva dal nome del dio della mitologia greca Pan.
Egli era un dio terrestre, potente e selvaggio, raffigurato con gambe e corna caprine, con zampe irsute e zoccoli, agile, il volto barbuto dall'aria terribile, assiduo frequentatore delle selve, dei prati e delle montagne.
Estremamente vitale, amante della musica e della danza e legato in modo viscerale alla natura e ai piaceri della carne, era venerato, ma anche temuto. Pan detestava essere disturbato nei momenti di riposo e quando ciò accadeva, lanciava urla terribili che terrorizzavano i malcapitati.
Proprio da questa caratteristica deriva il termine "timor panico".
Mitologia e psicologia trovano un punto d'incontro sul piano analogico e metaforico, considerando le caratteristiche temperamentali e personologiche dei vari dei e semidei dell'antica Grecia, come altrettante forme di energia , che si agitano all'interno della nostra psiche profonda e che, a volte con insistenza, richiedono e reclamano la nostra attenzione.
C.G. Jung definì queste forme di energia: Archetipi.
Ma vediamo nel dettaglio in cosa consiste un attacco di panico.
Occorre premettere che per quanto i sintomi possano apparire simili, un attacco di panico si diversifica da un attacco d'ansia per almeno due ordini di fattori: la gravità delle reazioni neurofisiologiche e le diverse modalità con cui questo si presenta. L'ansia, per quanto opprimente, è per lo più scatenata da fattori interni o esterni che inducono preoccupazione e agitazione, e i sintomi correlati richiamano un mare in burrasca dove onde più o meno alte si rincorrono.
L'attacco di panico al contrario, lascia senza apparenti difese chi lo subisce, poiché pare aggredire alle spalle, all'improvviso, anche in situazioni e momenti in cui si è tranquilli, addirittura a volte nel sonno e, può essere paragonato ad un'onda altissima che investendo lo sventurato, lo terrorizzi per alcuni minuti (massimo 10-15) lasciandolo in seguito smarrito e preoccupato dalla possibilità che l'evento si possa ripresentare. Da qui il crearsi della cosiddetta "paura della paura", che porta chi la subisce, ad evitare il più possibile situazioni da cui sarebbe difficile districarsi ed andarsene o ad evitare proprio quelle circostanze e luoghi in cui la prima crisi è avvenuta, attraverso ciò che viene definita "ansia anticipatoria".
Sintomi. Più nello specifico, ciò che viene riportato da chi soffre o ha sofferto di panico e dai manuali psichiatrici, indica una gamma variegata di sintomi, che possono manifestarsi con una improvvisa difficoltà respiratoria, una forte tensione muscolare, una accelerazione intensa del battito cardiaco (tachicardia), strani formicolii e intensi tremori a mani e braccia, e una sensazione psichica di depersonalizzazione (perdita temporanea del senso d'identità) o derealizzazione (sentirsi fuori dalla realtà,vivere il reale senza coloritura affettiva, fino a percepire gli individui conosciuti, come estranei), e a volte dalla paura di morire o di impazzire.
I segnali, per lo più, appaiono così intensi e immotivati che fanno pensare ad un attacco cardiaco o ad un ictus, perciò, molti sofferenti di questa patologia, finiscono nei centri di pronto-soccorso, per esserne spesso dimessi poco dopo, in compagnia d'un farmaco ansiolitico, non essendo state riscontrate in loro vere patologie organiche, né gravemente psichiche.
Ciò che accade in realtà, insegna la neurofisiologia, è che la persona non respira bene, blocca inconsciamente il respiro e o respira troppo velocemente, incrementando l'aumento della anidride carbonica (il nostro gas di scarico) e riducendo la quantità di ossigeno nel sangue.
Pare proprio sia la drastica riduzione dell'ossigeno e l'incremento del suo consumo nel corpo a creare il corollario di disturbi, che il portatore di attacchi di panico lamenta (poco ossigeno al cuore causerebbe tachicardia, poco ossigeno alle membra unito alla paura , sarebbe alla base dei tremori e delle parestesie (formicolii). Questo stato alterato infine, andrebbe ad incidere sulle ghiandole surrenali che scaricando adrenalina, non farebbero che peggiorare i sintomi summenzionati.
Chi vive uno stato psichico di ansia, di paura, sa bene che questa viene presto somatizzata trasferendosi nel corpo e ciò avviene - riferisce la medicina - attraverso due canali: il sistema nervoso autonomo simpatico e le ghiandole surrenali.
Queste a grandi linee, le caratteristiche fisiche, fisiologiche, neurofisiologiche legate al Panico, che di per sé già stanno ad indicare la necessità, per chi ne soffre, di fare entrare stabilmente nella propria vita prassi che implichino una migliore respirazione, con conseguente incremento d'ossigeno nel corpo e nel sangue, e strategie quotidiane di rilassamento mentale e muscolare.
Ma patologie di questo genere possono essere lette sul piano psicologico secondo sistemi interpretativi che - oltre a rilevarne gli aspetti disfunzionali inerenti lo schema mentale sottostante, che finirebbe per rinforzare il sintomo - vadano ad indagare il significato simbolico, analogico, metaforico alla base dello scatenarsi di una sintomatologia tanto potente quanto innocua (nessuno è mai morto per un attacco di panico).
Questo è l'intento e il compito di chi, all'interno del proprio criterio di intervento psicoterapeutico, contempli l'idea che l'inconscio abbia un grande valore nel determinare molti tipi di disagio, soprattutto quelli che allontanano le persone da una vita sociale, lavorativa e affettiva soddisfacente, attraverso un messaggio tutto da decodificare, ma che in genere ha a che fare con percezioni, opinioni, condotte, modi vivere, scelte, che per quanto possano sembrare adeguate sul piano della razionalità, paiono essere vissute con grave disappunto dal Sé profondo della persona.
Ecco allora Pan, dio della natura, dell'istinto, che col suo urlo terrorizzante viene ad esigere una riflessione, una attenzione su quanto ci sia di naturale o innaturale nella propria esistenza, di vitale o avvilente.
Può essere un comportamento sociale esageratamente compromissorio o la fatica di crescere e abbandonare modalità infantili ormai desuete.
Si può trattare di scelte fatte in passato, che poco o nulla hanno a che fare con profonde esigenze attuali o la difficoltà di esprimere i propri veri bisogni a chi si ama, o riguardare l'incapacità di assumersi responsabilità morali, poiché anche la moralità può essere natura oltre che cultura.
Esempi questi, che certamente non possono contemplare la variegata complessità dell'essere umano e delle sue possibili difficoltà esistenziali, ma che stanno ad indicare come possa divenire appassionante, avventuroso, e infine salvifico, il viaggio dentro se stessi alla ricerca della propria complessità e unicità.