Articolo pubblicato il 24 Marzo 2014.
L'articolo "Il neonato, questo sconosciuto!" tratta di: La Famiglia e Diventare Mamma.
Molti genitori, quando vengono da me in consultazione per il loro bambino, non sempre sembrano rendersi conto della complessità della relazione instaurata con lui. Essa è cominciata prima ancora della sua nascita e dopo il parto diventa una vera e propria raffinata costruzione di un linguaggio condiviso. Quelli che si rivolgono allo psicologo spesso sono genitori che hanno già fatto un percorso. Di solito si tratta di un percorso diagnostico per il figlio che presenta evidenti difficoltà. Altre volte sono genitori semplicemente disorientati in cerca di aiuto per capire meglio il loro bambino. Sono genitori un po' circospetti, timorosi di scoprire chissà quali magagne nel loro modo di fare i genitori o di essere messi davanti a chissà quali problemi del figlio. Forse sono anche abituati a ricevere risposte pratiche per interrogativi concreti come quelli che solitamente si pongono ai pediatri.
A volte c'è in loro anche un atteggiamento difensivo volto a mascherare una comprensibile gelosia circa il loro specifico modo di occuparsi del figlio, una modalità relazionale non replicabile e personale, dalle sfumature ineffabili e speciali. Da me, dicevo, cercano aiuto per capire e farsi capire meglio dal loro bambino.
Capita spesso di guardare alla meravigliosa semplicità con cui fin dalla nascita la madre e il neonato costituiscano un raffinato sistema integrato per permettere a quest'ultimo di passare da uno stato di apparente disorganizzazione senso-motoria a quello di individuo pronto a cercare il suo posto nel mondo.
Se osserviamo la coppia madre-neonato vediamo un tutt'uno in quasi perfetta sincronia, un tutt'uno impegnato in un compito vitale: imparare a comunicare. Vediamo il neonato fragile e sensibile allo stesso tempo, esposto a stimoli provenienti dall'ambiente (la luce, le forme, i suoni, gli odori, le sensazioni tattili, il freddo e il caldo, la gravità...) per lui così eccitanti da risultare ingovernabili e travolgenti. Lo vediamo costretto a cercare rifugio nella condizione del sonno dei beati per difendersi da tanta abbondanza di stimoli. Simultaneamente vediamo la madre che da parte sua cerca di attutirne l'impatto, fornendo a questi stimoli un'iniziale e grossolana organizzazione per proteggere il figlio dall'ingorgo sensoriale.
Il lavoro più impegnativo però lo fa proprio il neonato: quello che forse uno sguardo distaccato definirebbe come "organismo dalle incerte movenze", è invece un meraviglioso complesso sistema vitale impegnato nel tentativo di organizzarsi nel dare un significato a questi imponenti stimoli ricevuti dall'ambiente. Il tutto in funzione della sua crescita verso il traguardo di individuo autonomo, distinto dalla madre.
Il contributo di quest'ultima alla sua "organizzazione", quella che il linguaggio comune chiama appunto crescita, è ovviamente decisivo, un contributo esclusivo e specifico per quel neonato.
Oggi non vediamo più il neonato nella forma di una "tabula rasa" come ancora in un recente passato. Non lo vediamo più come un contenitore da riempire, ma sappiamo che sin dall'inizio della sua esistenza è un interprete meraviglioso del miracolo della vita. Per questa ragione siamo facilitati nel porre attenzione alle sue capacità originarie. Si può dire che fin dai primi respiri egli sia attivamente all'opera per distinguere e selezionare gli stimoli provenienti dall'ambiente e a organizzare le sue risposte (Brazelton-Nugent, 1995).
Pensiamo per esempio all'olfatto: a due giorni dalla nascita sembra una funzione indistinta (cioè il neonato non sembra dare alcuna risposta specifica ad alcun tipo di odore), ma a soli sette giorni sarà già in grado di volgersi verso un batuffolo strofinato in precedenza sul capezzolo della madre.
Il padre e il bambino.
Sempre a pochi giorni dalla nascita, se arriva una terza persona che gli offre un biberon mentre la madre lo tiene in braccio, il bambino lo rifiuterà e si volterà verso la madre. Lo accetterà però di buon grado se a porgerglielo sarà il padre, beninteso se quest'ultimo è un genitore normalmente presente.
Qui vediamo all'opera anche il processo d'integrazione delle sue capacità con le molteplici informazioni ambientali: una funzione complessa che già attribuisce significati distinti ai vari stimoli ambientali.
Aggiungo una nota sulla complessità del ruolo del padre, persona diversa dalla madre eppure specifica nel rapporto con lui: questa specificità informa il neonato che può accettare e ricevere soddisfazioni adeguate ai suoi bisogni anche da una fonte diversa da quella materna. Una rassicurazione importante, che può tranquillizzare la madre e liberarla dall'assillo, dall'ossessione di essere sempre presente.
Nel periodo perinatale, l'intelligenza preconscia dei genitori li porta alla ricerca e alla scoperta delle zone di sensibilità nel neonato.
Si tratta soprattutto di un lavoro di auto-apprendimento su tutto ciò che può servire al benessere del loro bambino, a contenerne gli stati di agitazione eccessiva, a calmare i suoi movimenti scomposti o il suo pianto, in modo da facilitargli il mantenimento del proprio controllo.
La loro presenza, la loro disponibilità e sopratutto la loro empatia, permetterà al neonato di passare da una condizione a un'altra, cioè da uno stato di veglia a uno di sonno e viceversa, da uno stato di agitazione confusa a uno di calma e distensione, da uno stato di torpore a uno di attenzione ecc. In tal modo anche il neonato imparerà dai continui preconsci feed-back a cercare e mantenere un certo equilibrio, una certa omeostasi, necessari per raggiungere uno stato di benessere soggettivo come condizione essenziale per lo sviluppo. Evitando gli stimoli perturbatori e prestando attenzione a quelli gratificanti, egli imparerà a mettere a fuoco e a concentrarsi sui messaggi che gli giungono dall'ambiente.
È evidente l'importanza di tutto questo gran lavoro, paragonabile a una corretta alimentazione e a tutte le altre cure.
In condizioni normalmente buone dunque la maggior parte delle madri (e anche dei padri) impareranno, se saranno sufficientemente attenti, a conoscere la loro creatura in maniera adeguata e a farsi riconoscere rispondendo alle sue richieste sempre più specifiche.
È dunque mutato, come dicevamo sopra, il paradigma secondo il quale lo sviluppo dei neonati veniva spiegato come il risultato delle cure genitoriali: col progredire dell'osservazione clinica ci si è resi conto ad un certo punto che i bambini con disturbi pervasivi dello sviluppo (per es. l'autismo, ma non solo) davano un contributo notevole, allora sottovalutato se non ignorato, ai fallimenti delle premure genitoriali. Accade, infatti, che questi bambini inviano loro inavvertitamente segnali negativi, incoerenti con la situazione oggettiva, decodificabili dai genitori in maniera approssimativa e distorta, che alla lunga risultano generatori di frustrazioni e scoraggiamenti.
Capacità comunicative del neonato. Questa nuova consapevolezza ha portato anche ad allargare lo sguardo sulle capacità comunicative del neonato, ora non più circoscritte all'area vocale o al pianto.
Così la scoperta della capacità del neonato di evitare o rispondere agli stimoli con un cambiamento di stato, ha aperto un nuovo scenario: l'osservazione attenta dei gradi di decremento di risposta fino allo stato di ritiro difensivo nel sonno ha arricchito l'esame neurologico. Quest'ultimo ora tiene conto dello stato comportamentale, perché non è estraneo alla motricità e ai riflessi, cioè alle reazioni organismiche del neonato.
In seguito ci sono state anche notevoli ripercussioni per esempio sulla lettura di ciò che accade tra i neonati prematuri o i neonati a rischio, e i loro genitori: la ridotta capacità di questi bambini di mantenere l'organizzazione fisiologica e comportamentale entro parametri "normali" (in maniera transitoria o duratura), li rende ipersensibili e ipereccitabili, per questo le loro risposte comportamentali sono difficili da interpretare.
Esse modificano la quantità d'energia investita nell'interazione con colui che lo accudisce e quella investita nel mantenimento degli sforzi di autoregolazione. I clinici hanno fatto molti passi avanti nella comprensione di questa disorganizzazione. Essi hanno poi sostenuto molti genitori nella rielaborazione del lutto del "bambino atteso e fantasmatizzato" rispetto a quello reale, che così è potuto essere aiutato più proficuamente.
Molti neonati a rischio hanno una soglia di percezione degli stimoli ambientali, una capacità d'utilizzazione e di risposta a queste sollecitazioni ambientali talmente bassa da apparire facilmente come iperstimolazione, qualsiasi sia il livello dello stimolo somministrato. Un'altra caratteristica di questi neonati è quella di una sorta di incapacità ad abituarsi a stimoli privi di senso o ripetuti. Essi possono facilmente disorganizzare il proprio comportamento, smettere di respirare, attivarsi o iniziare a piangere allo scopo di evitare questi stimoli eccessivamente intrusivi per loro.
Questo risulta un ostacolo per la loro capacità di prestare attenzione alle richieste ambientali, con riflessi significativi sul loro sviluppo cognitivo, quindi sul circuito di assimilazione e apprendimento.
Può essere importante per i genitori di questi bambini utilizzare i suggerimenti sui bisogni del neonato di un esperto osservatore.
Un aiuto per scegliere l'offerta di stimoli ambientali più adatti alla sua disorganizzazione attuale in funzione dell'organizzazione futura.
È ovvio che un tale punto di vista privilegi la singolarità d'ogni bambino: del resto le differenze individuali godono di una vasta gamma di variabilità nel campo del "normale". Aggiungendo poi a questa variabilità normale, la variabilità a sua volta normale con cui i genitori cercano di entrare in contatto col loro bambino, s'intuisce anche l'infinita varietà dei modi in cui si può sviluppare il reciproco attaccamento. E ciò che più conta è la sostanziale trasformazione nell'atteggiamento reso possibile nelle cure genitoriali: si può ora passare dalla focalizzazione su "ciò che non va", a una maggiore disponibilità per l'allargamento della qualità delle cure.
L'insieme di tutte le esperienze di vita, l'emergere, il differenziarsi e il dissolversi delle costellazioni di queste esperienze del tutto differente da bambino a bambino, non pregiudica il raggiungimento della maturità successiva di ognuno di essi. Parimenti, anche l'estrema varietà delle cure parentali non pregiudica la possibilità di crescita del reciproco attaccamento. Anzi, può favorirne l'evoluzione più corretta.
L'osservazione clinica del neonato con la somministrazione a vari intervalli della Scheda di Brazelton, può mettere ben in luce le sue capacità di ristabilirsi dallo stress da parto.
Con questa osservazione si ottiene una curva di recupero della sua omeostasi fisiologica, considerata la migliore prova della sua propensione a far fronte agli stimoli sociali. La curva di recupero è considerata un indicatore migliore della stabilità (solo gli items neurologici hanno una certa fissità). Proprio le fluttuazioni che possono essere notate nel tracciato delle performances del neonato, dimostrano come quest'ultimo sia in grado di organizzarsi secondo le domande ambientali.
La madre o chi per lei, può imparare molto sul suo neonato e sul proprio specifico modo di entrare in contatto con lui.
I neonati sani e a termine sono degli esseri essenzialmente sociali e sono strutturati in modo tale che riescono a sollecitare - dalle persone che se ne occupano - quella organizzazione che essi non possiedono. Possiamo ricordare che oggi il funzionamento neonatale è visto su un continuum di sviluppo all'interno del sistema interattivo adulto-bambino, dove l'organizzazione si espande man mano verso compiti sempre più complessi.
Il modello teorico di sviluppo che sta a monte sembra essere quello a "gradini". Tuttavia i cambiamenti inerenti lo sviluppo non sono rigidamente lineari; anche se un livello è il prerequisito per il successivo, ciascuno di loro resta qualitativamente differente e pertanto non è visto come una mera rifinitura o miglioramento del precedente.
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